VII, cap. IV, pag. 353).
(553) Vincenzo Auria (Cronologia de’ sign. vicerè di Sicilia p. 23) legge diversamente cioè Avila condonans, ma noi abbiamo creduto di dovere adottare la lezione del P. abate Amico, che Catanese, e scrivendo in Catania dovea riscontrare la lapide sepulcrale.
(554) L’Auria suddetto vi legge: Obiit 2 decembris, nel che crediamo che l’abbia indovinato come diremo.
(555) Amico Catana illus. tom. II, lib. VII, cap. IV. p. 153 e 154.
(556) Questo vicerè l’anno 1491 fu curioso di osservare nello interno gli avelli reali, che sono nel Duomo di Palermo, e consentendovi l’arcivescovo Giovanni Paternò, se ne fe’ l’apertura a’ 18 di ottobre. Fu aperto in primo luogo quello dell’augusta Costanza moglie dell’imperadore Federico. Voleasi di poi passare allo scoprimento degli altri sarcofagi; ma siccome i nobili disapprovarono quest’azione, dicendo che non conveniva d’inquietare le ceneri di tanti sovrani, il prudente vicerè fe’ soprassedere, e fe’ riporre ogni cosa nel primiero stato. Ne fu inteso il re Ferdinando, il quale non acconsentì che si facessero altre ricerche, e rimproverò la condotta del vicerè, e dell’arcivescovo. A nostri giorni all’anno 1781 nell’occasione di rifabbricarsi il Duomo furono di nuovo aperti i reali avelli, e la corte non solo non condannò questo discoprimento, ma ordinò inoltre, che si facesse una distinta relazione, che già è alle stampe, di ciò che vi si era trovato. Qual diversa maniera di pensare da un secolo all’altro!
(557) Reg. della regia cancellaria dell’anno 1494.1495, XIII indiz. fogl.
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