Vuol costui che le navi corsare, che abbiamo detto, che mantenea il vicerè a sue spese, presero una barca di Turchi, nella quale, oltre un ricco bottino di mercatanzie, vi erano alcune casse coperte di finissimo damasco, e guarnite d’oro. Queste furono portate nel regio palagio di Palermo, ed aperte alla presenza del duca di Macqueda, della moglie, e del figlio. Erano le medesime piene di denari, e di preziosissimi arredi; ma in una di esse coperta di velluto torchino fu trovato un cadavere di un uomo vestito di broccato con un turbante giojellato sul capo. Disserrandosi questa cassa, soggiunge l’anonimo, ne esalò un vapore così pestilenziale, che il vicerè, ch’era più da presso, ne cadde stordito in terra, e di là a pochi giorni se ne morì. Se il Caruso avesse saputo che i Musulmani secondo la loro legge non possono seppellirsi con ornamenti, ma semplicemente nudi, e involti in un lenzuolo, non si sarebbe così di leggieri inghiottita questa pillola. Oltrecchè è egli possibile che un fatto così singolare fosse noto al solo Anonimo del Caruso, e fosse restato sconosciuto a tutta la città? Non dobbiamo quì omettere che questo fatto viene anche rapportato dal di Giovanni (Palermo ristorato pag. 537), il quale vuole che oltre del vicerè, ne morì qualche altro, e che tutto il baulle fu bruciato
(1238) Reg. del protonotaro dell’anno 1600.1601, XI indiz. f. 153.
(1239) Pag. 19.
(1240) Reg. del proton. dell’anno 1600.1601, f. 203.
(1241) Auria Cron. dei Vicerè pag. 73.
(1242) Longo in Chronol. apud Maurol. p. 258.
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