Volea inoltre ampliare la città dalla parte del Molo, e tagliare una bella strada, che dalla città conducesse fino al così detto mare dolce. Era anche suo disegno di fare entrare il Mare dietro il castello per farne una Cala a comodo delle galee (Auria Cron. dei signori Vicerè di Sicilia p. 85). Ma queste grandiose imprese alcune delle quali si sono poi eseguite, non potè nemmeno incominciarle, avendo le parche, come si dirà, troncate le fila di sua vita.
(1381) Auria Cron. dei signori Vicerè p. 85.
(1382) Pragm. regni Siciliae t. III, tit. de censibus pag. 420.
(1383) In Cron. pag. 264.
(1384) Rosa Cron. diverse Mss. num. 4, pag. 21.
(1385) Ivi.
(1386) Mongit. Parl. di Sic. t. I, p. 479.
(1387) Non sono fra loro stessi d’accordo i nostri scrittori nell’additare per colpa di chi la peste si sia introdotta. Il Serio, che fa la storia delle pesti (presso Mongit. Sicilia ricercata t. II, pag. 490), e il Longo (in Chron. p. 264) ne fanno rei i Trapanesi, che permisero il baratto delle merci appestate; ma gli altri scrittori l’Aprile, il Caruso, l’Auria, e il Talamanca vogliono che ne fu causa Antonio Navarra segretario del vicerè. Il Talamanca precisamente racconta, che i senatori di Trapani, avendo sospetto che in Tunisi, da dove veniva quel galeone, vi fosse la peste, ricusarono di dargli pratica (Elenco Universale pag. 114), e lo ributtarono; ma siccome portava un tappeto di lana destinato per uso del vicerè, il di lui mentovato segretario, che forse era stato quello, che ne avea data la commissione, mandò ordine a Trapani, che si lasciasse sbarcare il suddetto arnese, come si fece, e per esso si comunicò, e dilatò la pestilenza per tutto il regno.
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