(1486) Non vi fu forse secolo in cui in Sicilia prendesse tanto piede il lusso, quanto il presente, che è il secolo dei Filippi. Contribuì moltissimo ad accrescerlo la prodigiosa quantità dei titoli, che vi si introdussero. I detti sovrani, che per le guerre, che dovettero sostenere, erogavano infiniti tesori, non trovando altre fonti da trarli (giacchè tutte erano diseccate), che dal fumo dei titoli, cominciarono a venderli, e quindi non si vider mai, come si è osservato, nel nostro regno tanti marchesi, tanti duchi, e tanti principi, nè tanti cavalieri grandi di Spagna quanti se ne osservarono a questa età. Sdegnavano i nostri di farsi chiamare baroni, o conti, e ambivano, e compravano a caro prezzo titoli da loro creduti più rispettabili. Il ceto mezzano, cha brama sempre di avvicinarsi al nobile, cercò di acquistare quei titoli, che i nobili disprezzavano. Quindi a misura di queste decorazioni delle famiglie crescea la pompa, ed il lusso, e tutti s’impoverivano. Quantum est in rebus inane!
(1487) T. III, Pragmat. t. VI, de pompa, et luxu moderandis.
(1488) Si disputa fra’ politici, se sia più vantagioso allo stato il promuovere il lusso, o il proscriverlo. I difensori di esso vantano, che col promuoverlo si ripuliscono le arti maccaniche, si toglie la barbarie dei costumi nella società, e si fa circolare il denaro, che lasciato morto nelle mani dei possessori potrebbe delle volte essere nocivo. Qualora i principi hanno vassalli opulenti, e ricchi, devono cercare di farli spendere.
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