Ecco le ragioni del malcontentamento dei Messinesi, e della brama ch’eglino nudrivano di tornare sotto il giogo spagnuolo, che abbiamo premesso di additare alla nota 1. pag. 401.
(1786) Per intendere questo politico aneddoto convien sapere, che il p. Lipari, che per commissione del senato era andato col p. Reitano in Palermo a render ragione di ciò, che si era operato da quel magistrato, come si è detto nel capo antecedente, al marchese di Bajona, venuti i Francesi era entrato in tanta grazia del duca di Vivonne, che niente questi operava senza il di lui avviso. Geloso il segretario d’Antige dello ascendente, che questo religioso avea acquistato sopra l’animo del duca, tanto operò, che glielo fe cadere dal cuore. Adirato il Lipari si allontanò da Messina, e andossene a Roma, ed ivi si introdusse nella familiarità del cardinal Nitardo gesuita, ch’era stato il confessore della regina reggente, e sebbene discacciato da Madrid per opera del principe Giovanni d’Austria, nudriva nondimeno una certa premura per la casa d’Austria, da cui riconoscea il cappello. Con esso trattò di facilitare i mezzi per far ritornare gli Spagnuoli in Messina, e da questi confortato con molte promesse a mettere in effetto il suo disegno, tornò alla sua patria, e cominciò a far delle pratiche per indurre i suoi ad aprire le porte agli Spagnuoli. Per quanto occulti fossero i di lui maneggi, furono penetrati per via di un giovane, che stava ai servigj dei congiurati. Il duca di Vivonne senza frapporvi dimora fe tosto arrestare i due fratelli Lipari, e i principali complici, e fatto loro compilare il processo li condannò a morte (Longo in Chron. pag.
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