382) lasciò registrato che in questo parlamento fu imposta la gabella sopra lo zuccaro, che s’introduceva nel regno. Lo stesso attestò il Longo (in Chron. pag. 291). Sbagliarono l’uno, e l’altro, giacchè questa nuova gabella non appartiene, che all’altra adunanza, che si tenne l’anno 1684, come in appresso racconteremo.
(1844) Vincenzo Auria (Cron. dei Vicerè pag. 275) rapporta, che questo arrendamento fu dato allora per scudi ottantamila nello spazio di quattro anni alla ragione di ventimila scudi per anno. Questa fu la prima volta, che fu stabilita nel regno la gabella del tabacco, che poi per l’uso che se ne introdusse in tutti i ceti, montò a vantaggio della regia corte a dugento settantamila e più scudi all’anno. A nostri giorni il graziosissimo nostro sovrano udendo le frodi, che si commettevano dagli arrendatarj, mescolandovi delle erbe perniziose alla salute, restò contento che si levasse questa gabella, purchè l’erario regio fosse ristorato della perdita. Si è egli così riparato alle frodi? io sospetto di no.
(1845) Mongit. Mem. Stor. dei Parl. t. I, p. 91.
(1846) Il Longo messinese (in Chron. p. 291) duolsi della perdita della prerogativa di non stare soggetta la sua patria alla numerazione, che ora solo gode la capitale; e dice, che per l’imposizione fu allora tassata la medesima per trentacinquemila scudi; e che trovandosi confiscato l’erario civico, fu di mestieri agli eletti d’imporre nuovi dazj, che furono intollerabili ai cittadini oramai esausti per la guerra, e per gli esilj; molti dei quali non potendosi sostenere, abbandonarono Messina per procacciarsi il pane per lo regno, e nella Calabria.
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