II, cap. XIX, p. 119, n. 4) in questa storia. Or venendo il re in Palermo, vi fu taluno corteggiano, che insinuò essere questo un monumento degno di adornare il regio palagio di Napoli; e perciò fu dato ordine, non si sa da chi, che vi si trasferissero, e ai 17 di luglio, dopo la partenza di questo principe, furono caricati sopra una barca inglese, con dispiacere dei buoni cittadini, che mal soffrivano di vedere la patria spogliata di un’antichità cosi pregevole, di cui come di una rarità faceano menzione parecchi scrittori, che favellavano di Palermo. Non osando di ricorrere, perchè quei montoni non appartenevano alla città, ma erano del suo real patrimonio, e potea S.M. a buon diritto farli trasportare, o alienarli a suo arbitrio, conservavano nel cuore il loro dolore. Penetrò il generoso re i segreti lamenti dei Palermitani, e non volendoli disturbare dal possesso in cui erano, ordinò, quantunque quei montoni fossero già arrivati a Napoli, che immantinente fossero rimandati alla galleria di Palermo, dichiarando, ch’ei non avea conquistata la Sicilia per privarla dei suoi ornamenti, ma per arricchirla di nuovi pregi. Ritornarono adunque in capo a pochi giorni i suddetti arieti, e furono riposti nel suo antico sito. (Mongitore Diario di Pal. t. VI, pag. 168). O cuore veramente generoso e grande del re Carlo III!
      (2314) Mongit. Diario di Pal. t. VI, pag. 266.
      (2315) In Auct. ad Fazel. t. III, pag. 393.
      (2316) Mongit. Diario di Pal. t. VI, pag. 166.
      (2317) La istituzione dei consiglieri nella corte, per meglio governarsi gli stati lontani, devesi al re Filippo II, il quale formò, come fu scritto nel terzo libro di questa storia, il così detto consiglio d’Italia, dove si trattava di ciò, che apparteneva alle provincie italiane, ch’erano soggette alla monarchia di Spagna.