Questo è uno di quegli enimmi politici, che difficilmente s’intendono, e bisogna conchiuderne, che il saggio ultimo non fu fedele.
(2427) Per dare un sunto di questa contesa, fa di mestieri sapere, che avendo il re Ruggiero l’anno 1132 eretta la cappella regia nel suo palagio, con copia di cappellani, chierici, e altri ministri, che componessero un collegio di canonici, volle che a questo fosse annessa la cura delle anime, ch’erano addette al servigio del palagio, e di quella chiesa, e ne ottenne da Pietro arcivescovo di Palermo il desiderato diploma. Mancava un capo a questo corpo, e dopo otto anni, cioè l’anno 1140, lo stesso monarca elesse il cantore. Sebbene in questo dimembramento non fosse stata destinata veruna persona del capitolo per la cura spirituale delle anime, fu nondimeno sempre creduto, che fosse affidata al cantore, che tenea un cappellano sagramentale per dispensare i sagramenti. L’anno 1598, morto il cantore, pretesero i canonici di palagio, che la cura delle anime fosse radicata nel loro capitolo, e perciò nacquero allora, e poi delle controversie fra questo capitolo, e la corte arcivescovale, fino che l’anno 1634 il cardinal Giannettino Doria, per togliere le liti, fe un atto, con cui confermò quello fatto dall’arcivescovo Pietro, e nella sua conferma dichiarò, che la cura delle anime restava appoggiata al collegio, ed ai canonici della mentovata cappella. Per molto tempo così il cantore, che i canonici di esso collegio, quando erano eletti ricevevano come gli altri parochi, la istituzione, ossia la missione dall’arcivescovo.
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