(2469) Avea il serenissimo duca di Parma Ferdinando fatta nel mese di gennaro una prammatica sanzione, di cui due articoli interessavano la corte romana, cioè il primo, che vietava senza il suo permesso il portare le cause litigiose ai tribunali stranieri, e anche alla corte del papa, e l’ultimo, che dichiarava nulli tutti i decreti, bolle, e brevi vegnenti da Roma, quando non fossero muniti del regio exequatur. Questi due fatali colpi dati alla santa sede da un principe creduto suddito dai Romani, ferirono il cuore di Clemente XIII, il quale ai 10 di febbraio promulgò le lettere, delle quali si parla, dichiarando con esse nulla la suddetta prammatica, e incorsi nelle censure fulminate nella bolla in coena Domini, tutti coloro, che vi avessero concorso per farla pubblicare. Queste lettere irritarono le corti borboniche, le quali di accordo vietarono nei loro stati le papali lettere sudette, e la bolla mentovata, cui le lettere stavano appoggiate.
(2470) Capo XII.
(2471) È cosa assai malagevole il guarire le popolari superstizioni. La bolla in coena Domini, che si promulgava ogni anno in tutte le chiese di Sicilia, e si affiggea in tutti i confessionali, era riputata dalla sciocca plebe, e da qualche ignorante come una bolla dommatica, e perciò si considerava come un delitto lo attentare contro la medesima. Ecco perchè da taluni si mormorò allora contro l’editto sovrano, nè da essi si ubbidì, che per timore del gastigo. Questo nostro giudizio viene abbastanza comprovato dalla condotta della corte di Roma, che dopo il pontificato del papa Ganganelli è rimasta silente intorno a questo punto, nè ha più promulgata la contrastata bolla.
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