Il re, cui si erano fatte palesi le cabale di taluni di questi incettatori, per impedire lo esterminio delle famiglie, proibì che si potessero in avvenire percepire i quinti nelle gabelle. Questa legge, che da una parte risecava i monopolj, dall’altra era pregiudizievole ai possessori, che cessata ogni speranza di lucro, non trovavano molti obblatori, ed erano tante volte costretti a dare il fondo, che meritava di più, o nel piede, in cui era stato negli anni antecedenti, o a minor prezzo. Ecco perchè cercò il parlamento, che quest’ordine fosse moderato.
(2484) Questo ritrovato, che fu creduto come un mezzo sollecito per ristorare la città, nè fu tale, nè ebbe quello effetto, che si desiderava, come diremo. Forse se questi cavalieri avessero saputo, che lo stesso progetto era stato fatto l’anno 1648 nelle tumultuazioni di Giuseppe di Alessi, fissandosi tre tarini per ogni finestra, e sei per ogni balcone, e che non ebbe effetto (vedi Collurafi Tumult. di Palermo pag. 73), si sarebbono astenuti dal proporlo, e dallo accettarlo.
(2485) Vol. dei Consigli dall’anno 1744, all’anno 1780, fogl. 145.
(2486) Dichiara il re nel suo dispaccio dei 18 di luglio che qualora, fatta questa prima esazione, si conosca che la ritratta somma non è sufficiente ai bisogni del senato, allora dava il permesso di mettersi la tassa di tarì cinque sopra ogni cantaro di neve, e di poi di tarini 24 sopra ogni botte di vino, a misura delle circostanze. Furono esentati da queste imposizioni il regio palagio, le chiese, e i quartieri militari.
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