I cavalli stessi, che non sempre ubbidiscono al comando dei cavalieri, sono spesso d’impedimento ai medesimi per potere liberamente operare.
(2502) Questo divieto di menare le mani fu disapprovato da tutti gl’intendenti nell’arte militare: o bisognava lasciare ai comandanti la libertà di agire giusta le circostanze, o non doveasi esporli al cimento.
(2503) Sebbene il timore fosse grande, nondimeno finita la sollevazione, fu conosciuto, che il cannone era così mal parato, che non potea produrre il desiato effetto. La carica del medesimo era di 26 rotola, cioè sei di polvere e 20 di chiodi, palle, ed altre materie, e perciò o non dovea fare la esplosione, o dovea crepare, giacchè secondo le regole dell’artiglieria la polvere dee essere la terza parte di tutta la carica per far colpo.
(2504) È degna da rammentarsi la risposta, che costui diede. Avendo fra le altre il principe di Cutò esibito al medesimo mille once, se lo rendea, rispose: il re non si vende.
(2505) Chi mai avrebbe potuto immaginarsi, che il popolo di Palermo avesse voluto discacciare il marchese Fogliani, per cui avea finallora idolatrato, e che non molto prima avea chiamato il padre dei poveri? Come parea possibile che una città, sulla quale avea egli per lo spazio di 18 anni profuse le sue beneficenze, e nella quale avea cotidianamente erogati tanti tesori, ora intrattenendola in feste, e in divertimenti, ora soccorrendo i poveri, e le famiglie più bisognose, pensasse a cacciarlo dalle sue mura?
(2506) Vi fu taluno, che gli fe capire fra le labbia, qual fosse l’ardimentosa pretensione della plebe; ma egli non conoscendo in se la menoma colpa, non seppe mai persuadersene.
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Cutò Palermo Fogliani
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