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      Perchè un benefattore non ha alcun dritto (prendendo questa voce nel suo giusto senso) d'esiggere gli effetti della sua beneficenza dal beneficato; altrimenti non sarebbe più un benefizio, ma un contratto.
      Non è difficile, se io non m'inganno, il discoprire la fallacia, e l'errore di questo raziocinio, che non negherò essere a prima vista capace di far illusione. L'abbaglio giace nascosto sotto quella voce contratto, che ingannò Ugon Grozio. Certamente un benefizio non produce veruno di que' contratti, che nel corso della vita sogliono gli uomini liberamente, e spontaneamente stipulare: e quindi un dono non è nè un mutuo, nè un prestito, nè un precario, non una vendita; non una locazione. Ma evvi una universal legge, e un primo contratto, che lega gli uomini con eterno vincolo d'amore, e di società tra loro(62). Nè senza questo il consorzio della spezie umana avrebbe meritato il nome di Società, nome, che appunto indica contratto, ma sarebbe da dirsi uno stormo di bipedi senza piume. Qual vano nome, ed inutile sarebbero mai le virtù della liberalità, della compassione, della pietà se non producessero effetto veruno! Anzi è questo contratto una di quelle leggi, che il sapientissimo Cicerone disse non esser scritta, ma nata in noi, non appresa, ed insegnataci, e letta, ma bevuta col latte, ed inculcataci, e dataci dalla stessa natura(63).
      Mancando adunque alla retribuzione verso chi esercita una di quelle virtù distinte dalla giustizia, non si va, egli è vero, contro verun contratto scritto, e conosciuto dalle leggi civili, ma si offende altamente quel general contratto, che forma il glutine dell'umana società. Ciò basti aver avvertito sull'opinione del Grozio.


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De' doveri de' principi neutrali verso i principi guerreggianti e di questi verso i neutrali
Libri due
di Ferdinando Galiani
1782 pagine 527

   





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