Tanto bastava ad istruirci del non esservi dritto naturale di passar sul territorio d'una straniera gente; doversi chiedere(220), ed ottenersi graziosamente da essa, la quale è in dritto di ricusarlo. Può solo nascere l'obbligo della pazienza, o sia della servitù da convenzione espressa, o tacita, cioè da trattati, che sono le convenzioni espresse tralle genti, o da reciproco uso, nel che consiston le tacite. Quando queste manchino manca il dritto; rimane l'equità, cioè un dovere di beneficenza da non doversi confonder mai co' doveri della giustizia, essendone diversissime le illazioni(221).
Ora non sarà inutile richiamar ad esame le ragioni de' seguaci della contraria opinione. Il loro grande argomento è sempre questo, che quando si dà valevole sicurtà di rendere innocuo il transito, abbia luogo l'assioma di morale, che ciò, che ad uno non nuoce, e ad altri giova abbia da farsi. Da un assioma mal inteso, e peggio applicato è sicuramente nata l'erronea opinione.
Io non starò qui a replicare quanto diffusamente ho detto al Capo II. Ripeterò soltanto essersi ivi da me dimostrata la differenza tra' doveri di giustizia, e quegli dell'equità, o sia beneficenza; le gradazioni di questa, e la maniera di calcolarle: essersi inoltre fatto avvertire(222), che non esiste in natura questo caso, che ciò che uno abbia da far per altri possa giovar a colui senza o molto, o poco incomodar chi lo fa. Quel, che ivi dissi basta a scoprir l'abbaglio di voler esigger per dritto di giustizia l'incomodo altrui, e il sacrifizio de' proprj dritti di quello.
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Capo II
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