La prima è, che quando un Sovrano stipulasse un Trattato d'amicizia, e di commercio con un popolo insurgente e sollevato non per dar dispiacere al loro antico Sovrano; ma perchè crede estinto, e cessato il legitimo dominio di lui sù quel popolo, e cotesto Sovrano se ne offendesse, la controversia cade sul fatto, e non sul dritto, cioè sul giudicare se effettivamente, potean dirsi a quell'epoca già sottratti gl'insurgenti dal primiero dominio, e rivendicati in libertà; il che dipende dall'esaminare la natura della costituzion politica di quello Stato, i dritti naturali del Principe, o del Senato, che con lui divide l'autorità sul popolo(498), i fatti avvenuti, la verisimiglianza, e la possibilità del ritorno volontario, o forzato all'antica soggezione.
Alla seconda cosa, di cui mi vien in pensiere di qui ragionare mi stimola un caso in tutto nuovo nella storia umana di fresco avvenuto. Si era voluto da un principal magistrato d'una celebre Potenza stipular Trattato di reciproci vantaggi con una nazion sollevata riguardandola però come per anche ribelle, e perciò si era pensato aggiungere la condizione, che allora dovesse aver vigore il Trattato, quando nel giuoco delle vicende umane giungessero i sollevati ad esser riconosciuti per indipendenti dallo stesso loro antico Sovrano. Merita esame, se un patto così concepito dalla parte del neutrale oltraggi l'amicizia di lui verso il Sovrano de' sollevati. Ai giureconsulti della più celebre Università de' tempi nostri non è forse sembrato offensivo: io credo, che diversamente ne avrebbero opinato que' vecchi giureconsulti Italiani, dagli scritti de' quali son surte le Pandette, e molte decisioni Imperiali del Codice.
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