Dico che si potrebbe dal geometra considerare, ed esprimere una classe de' doveri umani come le ascisse, un altra classe come le ordinate di qualche curva. Allora il confine delle azioni umane verrebbe espresso da quella curva, che così designerebbe ne' suoi varj punti la quantità, e la grandezza maggiore, o minore delle virtù, e de' vizj. Ovvero si potrebbe talvolta considerare la progressione degli atti umani sotto la sembianza d'una curva circolare, che abbia per sua tangente la perfezione delle virtù. In un sol punto la curva giunge a toccarla, e volendola spinger più innanzi, se ne rivolge, e va a discostarsene tanto quanto vi si era accostata. Così con chiarezza geometrica s'intenderà quel, che in certa grossolana maniera han gli uomini detto, che la virtù stasse nel mezzo; il che non è sempre vero. Perciocchè i doveri interni dell'uomo verso il suo Creatore non solo non sono capaci d'eccesso, ma neppur si possono far giunger mai alla perfetta estensione; e questi non si potrebbero mai meglio esprimere, e figurare, che sotto l'imagine della iperbole, e del suo asintoto, al quale essa si accosta sempreppiù senza giungerne mai al contatto. Ma basti aver qui di corso indicati questi miei pensieri. Non è necessario al mio presente soggetto, che io ne spinga più innanzi l'astruso discorso.
(31) Quia bona, & æquo non conveniat aut lucrari aliquem cum damno alterius, aut damnum sentire per alterius lucrum. Dig. Tir. de Jure dot. 1.6.
(32) Se tutto manchi vi sarà sempre quello, che altri non abbiano avuto quel lucro, che uno ha fatto.
| |
Creatore Quia Jure
|