(59) Non ha Ugon Grozio trattata la questione contenuta nel presente capo ne' termini, che io l'ho proposta; ma nel capo V. del libro I. accennò quella, che con questa confina, cioè se fosse giusta causa di guerra il muoversi a soccorrere gli amici assaliti. Citò Cicerone, Menandro, Democrito, Lattanzio, ed una nuvola di vecchi giureconsulti, che forse di tutt'altro parlano, e concluse esser atto lecito, ed onesto il render servizio ad altri, e per conseguenza il divenire ausiliare nella guerra, aggiungendo, che quando anche non vi fosse altra congiunzione, che l'uniformità di natura, questa basta ad obbligarci a soccorrere i nostri simili qualor si possa. Il generale rimprovero da me fatto ai moralisti di aver sempre risolute le loro questioni in termini assoluti, e generali, senza nessuna chiarezza di teorie, che tenesse conto de' dati certi, e degli incerti, de' fissi, e de' variabili, mi fa dire di questa decisione del Grozio, come di moltissime altre sue, e de' suoi compagni, che ella è talvolta vera, e talun altra falsa, e sempre poco esattamente espressa ne' termini come è concepita. Quel che ho detto di sopra mi par, che lo dimostri evidentemente. In oltre acciocchè molti non vi prendano abbaglio, piacemi far osservare esservi diversità grande tral dire, che sia giusto motivo di guerra l'intraprenderla per soccorrere un amico assalito, e il dire, che sia necessario dovere il farla. Può molte volte una azione esser e virtuosa, e lodevole, senza che per ciò il non farla divenga vizioso, e biasimevole.
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