Post hæc habebimus conjunctione, & sanguine, usuque & consuetudine longe cara, ut liberos, conjuges, penates, cæteraque, quæ usque eo animus applicuit, ut ab illis, quam a vita divelli gravius existimet, de benef. lib. I. c. XI. È palpabile la contradizione in cui cade, egli stesso avendola manifestata di sopra dicendo primum obtinent locum sine quibus non possumus vivere, secundum sine quibus non debemus, tertium sine quibus nolumus. Se vi è dunque uno stato in cui l'uomo o non vuole, o non dee più vivere, questo stato è peggior della morte. Il terzo e non il primo luogo dovea dunque dare alla salvezza della vita. E così in fatti è. L'uomo è talmente organizato, che naturalmente preferendo alcuni sentimenti al senso, ed al sapore del vivere, non è stoltezza, ma ragione in lui l'esporre la vita per salvare il vero onore, il sagrificarla alla patria, che contiene quanto egli ha di più caro, l'anteporre la morte alla schiavitù. Quindi la ragionevolezza della guerra; quindi la lode di alcune imprese; quindi l'applauso di molte virtù. Su questa nostra organizazione, che ci diversifica da' bruti (i quali non han idea dell'onore, non senso della patria, non de' congiunti, nè altro, che il senso fisico degli incomodi della servitù) chiunque vi mediterà profondamente troverà lo scioglimento facile de' più intrigati quesiti della morale: ma non è luogo questo da dilungarmici.
(67) Considerarono que' sommi filosofi non men, che giureconsulti, i laceri avanzi delle opere de' quali ci ha tramandati Treboniano, che la libera e spontanea donazione de' beni, o il dono della libertà detto manomissione, non si annulla per qualunque scioperato uso si faccia della roba, o della libertà donata, perchè è dono, e non patto scritto.
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Considerarono Treboniano
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