(225) Vedi sopra pag. 37. e seg.
(226) Il Volfio al § 1182. inciampando nell'error comune, che sia un dritto naturale il poter esiggere dal Principe vicino il transito d'un'armata, pensò poi mitigar una opinione, di cui conosceva l'eccesso, dicendo, che dovendo questo transito esser innocuo rimaneva al possessore del territorio il dritto di giudicare se sarebbe per riuscir tale, o dannoso il transito. Non s'avvede, che così incorre nell'altro assurdo di far, che uno stesso sia parte e giudice in causa propria, il che ne' doveri di giustizia non può aver luogo. Che se egli avesse cominciato dal dire essere il transito concesso un puro atto libero di beneficenza, e d'equità, si sarebbe messo sul dritto cammino del vero, nè avrebbe incontrate più difficoltà. In fatti è questa una rimarchevole differenza tra i doveri di giustizia, e que' di beneficenza, che siccome di quelli niuno in causa propria può eriggersene in giudice, così di questi l'arbitrio è intieramente riservato al beneficante, ed userebbe violenza, quell'estraneo, che se ne meschiasse. In fatti non ho io stesso dritto di giudicare, per esempio, se debbo osservare o nò i patti d'un contratto, ma a me solo s'appartiene risolvere se debbo, o non debbo fare una limosina. Se le leggi civili talvolta si stendono anche a questi atti, ciò avviene per la ragione detta di sopra, che riguardandosi un governo come una sola famiglia, il padre comune prescrive talvolta anche gli atti di bontà, e di beneficenza ai suoi sudditi, ed estende le sue provvidenze molto al di là de' doveri naturali.
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Vedi Il Volfio Principe
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