Aquil. l.45. §. 3.
(297) Arbitrium boni viri.
(298) In sostegno di questa opinione potrei far avvertire, che il Grozio [Lib. II. c. 2.], il Puffendorff [Lib. III. c. 1.], il Vattel [Lib. II. c. 9.], e tutti infine i giuspublicisti anche di que', che concedono la massima estensione al loro imaginato Dritto di necessità, concordano nell'opinare d'esser tenuto alla rifazion del danno chi lo cagionasse spintovi da forzosa necessità. Or indubitatamente la casualità si eguaglia alla necessità: casus enim necessitatis vim habet, nec prævideri potest. Ed io potrei anche altre ragioni addurre tratte dall'autorità de' più famosi legislatori Mosè, Solone &c., o dal natural sentimento: ma a che prò? Volesse il Cielo ed avessero i discorsi di noi meschini scrittori tanta forza da giunger a persuadere i Sovrani guerreggianti a rifar i soli danni ingiuriosi, o colposi causati dalle guerre ai neutrali; ben volentieri si condonerebbero i casuali. Intanto è assai lontana l'Europa dal voler abbracciar massime così rigide, e delicate nelle guerre. Oh quanto costerebbero esse di più! Oh quante meno perciò se ne imprenderebbero!
(299) Se si trattava di servo danneggiato volle la legge Aquilia, che si stimasse quanti in eo anno plurimi fuit; se di altre cose inanimate quanti ea res (plurimi) erit in diebus triginta proximis, tantum æs domino dare damnas esto. Leg. 2. e leg. 27. Dig. ad Leg. Aquil.
(300) Tale sarebbe rispetto al neutrale se uno de' guerreggianti ammesso a transitare sul territorio di esso vi cagionasse danni involontarj, quali sarebbero l'accamparsi su' terreni coltivati, il bruciar arbori fruttiferi per far fuoco, ed altri inevitabili incomodi prodotti dalle armate anche le più morigerate.
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