(408) In compruova de' miei detti non ho bisogno di addurre altro, che queste stesse leggi sul commercio co' Barbari limitrofi dell'Impero. Eccone una. Ad barbaricum transferendi vini, olei, liquaminis nullam quisquam habeat facultatem, nec gustus quidem causa aut usus commerciorum [Cod. L. IV. t. 41. l. I.]. Che non si volesse far gustar ai Barbari il vino per non invogliargli a venirne a conquistar i vigneti era una puerile pusillanimità dannosa al commercio: ma, che si vietasse anche il commercio, dell'olio, e della salsa d'acciughe (se pur questo significa la voce liquamen, del che io dubbito forte) è più che fanciullaggine: è vera stupidità. Ecco l'altra. Nemo alienigenis barbaris cujuscumque gentis ad hanc urbem sacratissimam sub legationis specie, vel sub quocumque alio colore venientibus, aut in diversis aliis civitatibus, loricas, scuta, & arcus, sagittas, & spathas, & gladios, vel alterius cujuscumque generis arma audeat venumdare: nulla prorsus iisdem tela, nihil penitus ferri vel facti jam, vel adhuc infecti ab aliquo distrahatur [Cod. tit. eod. l. 2.]. Che si vietasse il grande incetto d'armi era prudente; ma il non voler lasciar comprare ad un ambasciatore neppur una spada, mostra un annientamento di spirito, e di forze tale e tanto, che al solo lampeggiar d'una spada si svenissero que' Bizantini dalla paura. Lascio l'insensatezza di quell'altra legge, che vieta portar oro ai Barbari neppur per riscatto de' presi [Cod. tit. eod. l. 4.] quasicchè il riacquisto d'un cittadina valesse meno d'un pezzetto d'un inutilissimo metallo, e taccio di quella, che vieta il lasciar entrar sotto qualunque pretesto i mercanti Persiani, o stranieri dentro l'Impero per timor, che non ne spiassero lo sfacelo [Cod. lib.
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