Il contrario è storicamente vero: cioè sono le rivoluzioni e il complesso sviluppo storico che hanno modificato l'alimentazione e creato i «gusti» successivi nella scelta dei cibi. Non è la semina regolare del frumento che ha fatto cessare il nomadismo, ma viceversa, le condizioni emergenti contro il nomadismo hanno spinto alle semine regolari ecc. (Cfr. questa affermazione del Feuerbach con la campagna di S. E. Marinetti contro la pastasciutta e la polemica di S. E. Bontempelli in difesa, e ciò nel 1930, in pieno sviluppo della crisi mondiale).
D'altronde è anche vero che «l'uomo è quello che mangia», in quanto l'alimentazione è una delle espressioni dei rapporti sociali nel loro complesso, e ogni raggruppamento sociale ha una sua fondamentale alimentazione, ma allo stesso modo si può dire che l'«uomo è il suo appartamento», l'«uomo è il suo particolare modo di riprodursi cioè la sua famiglia», poiché l'alimentazione, l'abbigliamento, la casa, la riproduzione sono elementi della vita sociale in cui appunto in modo piú evidente e piú diffuso (cioè con estensione di massa) si manifesta il complesso dei rapporti sociali.
Il problema di cos'è l'uomo è dunque sempre il cosí detto problema della «natura umana», o anche quello del cosí detto «uomo in generale», cioè la ricerca di creare una scienza dell'uomo (una filosofia) parte da un concetto inizialmente «unitario», da un'astrazione in cui si possa contenere tutto l'«umano». Ma l'«umano» è un punto di partenza o un punto di arrivo, come concetto e fatto unitario? o non è piuttosto, questa ricerca, un residuo «teologico» e «metafisico» in quanto posto come punto di partenza?
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Cfr Feuerbach Marinetti Bontempelli
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