Cosí è da vedere se la traducibilità è possibile tra espressioni di fasi diverse di civiltà, in quanto queste fasi sono momenti di sviluppo una dall'altra, e quindi si integrano a vicenda, o se un'espressione data può essere tradotta coi termini di una fase anteriore di una stessa civiltà, fase anteriore che però è piú comprensibile che non il linguaggio dato ecc. Pare si possa dire appunto che solo nella filosofia della prassi la «traduzione» è organica e profonda, mentre da altri punti di vista spesso è un semplice gioco di «schematismi» generici.
Giovanni Vailati e la traducibilità dei linguaggi scientifici. Passo della Sacra Famiglia in cui si afferma che il linguaggio politico francese del Proudhon corrisponda e possa tradursi nel linguaggio della filosofia classica tedesca. Questa affermazione [è] molto importante per comprendere alcuni aspetti della filosofia della prassi e per trovare la soluzione di molte apparenti contraddizioni dello sviluppo storico e per rispondere ad alcune superficiali obbiezioni contro questa teoria storiografica (anche utile per combattere alcuni astrattismi meccanicistici).
È da vedere se questo principio critico possa essere avvicinato o confuso con affermazioni analoghe. Nel fascicolo di settembre-ottobre 1930 dei «Nuovi Studi di Diritto, Economia e Politica», in una lettera aperta di Luigi Einaudi a Rodolfo Benini (Se esista, storicamente, la pretesa repugnanza degli economisti verso il concetto dello Stato produttore) in una nota a p. 303 si legge: «Se io possedessi la meravigliosa facoltà che in sommo grado aveva il compianto amico Vailati di tradurre una qualunque teoria dal linguaggio geometrico in quello algebrico, da quello edonista in quello della morale kantiana, dalla terminologia economica pura normativa in quella applicata precettistica, potrei tentare di ritradurre la pagina dello Spirito nella formalistica tua, ossia economistica classica.
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