Nel volume Storia dell'età barocca in Italia, a p. 11, il Croce scrive: «Il movimento della Rinascita era rimasto aristocratico, di circoli eletti, e nella stessa Italia, che ne fu madre e nutrice, non uscí dai circoli di corte, non penetrò fino al popolo, non divenne costume o "pregiudizio", ossia collettiva persuasione e fede. La Riforma, invece, ebbe bensí questa efficacia di penetrazione popolare, ma la pagò con un ritardo del suo intrinseco sviluppo, con la lenta e piú volte interrotta maturazione del suo germe vitale». E a p. 8 «E Lutero, come quegli umanisti, depreca la tristezza e celebra la letizia, condanna l'ozio e comanda il lavoro; ma, d'altra parte, è condotto a diffidenza e ostilità contro le lettere e gli studi, sicché Erasmo poté dire: ubicumque regnat lutheranismus, ibi literarum est interitus; e certo, se non proprio per solo effetto di quella avversione in cui era entrato il suo fondatore, il protestantesimo tedesco fu per un paio di secoli pressoché sterile negli studi, nella critica, nella filosofia. I riformatori italiani, segnatamente quelli del circolo di Giovanni de Valdès e i loro amici, riunirono invece senza sforzo l'umanesimo al misticismo, il culto degli studi all'austerità morale. Il calvinismo, con la sua dura concezione della grazia e la dura disciplina, neppur esso favorí la libera ricerca e il culto della bellezza, ma gli accadde, interpretando e svolgendo e adattando il concetto della grazia e quello della vocazione, di venire a promuovere energicamente la vita economica, la produzione e l'accrescimento della ricchezza». La riforma luterana e il calvinismo suscitarono un vasto movimento popolare-nazionale dove si diffusero, e solo in periodi successivi una cultura superiore; i riformatori italiani furono infecondi di grandi successi storici.
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