In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione. L'«uomo in generale», comunque si presenti, viene negato e tutti i concetti dogmaticamente «unitari» vengono dileggiati e distrutti in quanto espressione del concetto di «uomo in generale» o di «natura umana» immanente in ogni uomo.
Ma se anche la filosofia della prassi è una espressione delle contraddizioni storiche, anzi ne è l'espressione piú compiuta perché consapevole, significa che essa pure è legata alla «necessità» e non alla «libertà» che non esiste e non può ancora esistere storicamente. Dunque, se si dimostra che le contraddizioni spariranno, si dimostra implicitamente che sparirà, cioè verrà superata, anche la filosofia della prassi: nel regno della «libertà» il pensiero, le idee non potranno piú nascere sul terreno delle contraddizioni e della necessità di lotta. Attualmente il filosofo (della prassi) può solo fare questa affermazione generica e non andare piú oltre: infatti egli non può evadere dall'attuale terreno delle contraddizioni, non può affermare, piú che genericamente, un mondo senza contraddizioni, senza creare immediatamente una utopia.
| |
|