Il libro di Henri De Man, se ha un suo valore, lo ha appunto in questo senso: che incita a «informarsi» particolarmente dei sentimenti reali e non di quelli supposti secondo leggi sociologiche, dei gruppi e degli individui. Ma il De Man non ha fatto nessuna scoperta nuova né ha trovato un principio originale che possa superare la filosofia della praxis o dimostrarla scientificamente errata o sterile: ha elevato a principio scientifico un criterio empirico di arte politica già noto e applicato sebbene forse insufficientemente definito e sviluppato. Il De Man non ha neanche saputo limitare esattamente il suo criterio, perché ha finito col creare una nuova legge statistica e inconsapevolmente, con altro nome, un nuovo metodo di matematica sociale e di classificazione esterna, una nuova sociologia astratta.
[Le parti costitutive della filosofia della prassi.] Una trattazione sistematica della filosofia della praxis non può trascurare nessuna delle parti costitutive della dottrina del suo fondatore. Ma in che senso ciò deve essere inteso? Essa deve trattare tutta la parte generale filosofica, deve svolgere quindi coerentemente tutti i concetti generali di una metodologia della storia e della politica, e inoltre dell'arte, dell'economia, dell'etica e deve nel nesso generale trovare il posto per una teoria delle scienze naturali. Una concezione molto diffusa è che la filosofia della praxis è una pura filosofia, la scienza della dialettica, e che le altre parti sono l'economia e la politica, per cui si dice che la dottrina è formata di tre parti costitutive, che sono nello stesso tempo il coronamento e il superamento del grado piú alto che verso il '48 aveva raggiunto la scienza delle nazioni piú progredite d'Europa: la filosofia classica tedesca, l'economia classica inglese e l'attività e scienza politica francese.
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