L'autore invece cade in pieno nel dogmatismo e quindi in una forma, sia pure ingenua, di metafisica; ciò è chiaro fin dall'inizio, dall'impostazione del problema, dalla volontà di costruire una «sociologia» sistematica della filosofia della praxis; sociologia, in questo caso, significa appunto metafisica ingenua. Nel paragrafo finale dell'introduzione, l'autore non sa rispondere all'obbiezione di alcuni critici, i quali sostengono la filosofia della praxis poter solo vivere in concrete opere di storia. Egli non riesce a elaborare il concetto di filosofia della praxis come «metodologia storica» e questa come «filosofia», come la sola filosofia concreta, non riesce cioè a porsi e a risolvere dal punto di vista della dialettica reale il problema che il Croce si è posto e ha cercato risolvere dal punto di vista speculativo. Invece di una metodologia storica, di una filosofia, egli costruisce una casistica di quistioni particolari concepite e risolte dogmaticamente quando non sono risolte in modo puramente verbale, con dei paralogismi ingenui quanto pretensiosi. Questa casistica potrebbe pur essere utile e interessante, se però si presentasse come tale, senza altra pretesa che di dare degli schemi approssimativi di carattere empirico, utili per la pratica immediata. Del resto si capisce che cosí debba essere perché nel Saggio popolare la filosofia della praxis non è una filosofia autonoma e originale, ma la «sociologia» del materialismo metafisico. Metafisica per esso significa solo una determinata formulazione filosofica, quella speculativa dell'idealismo e non già ogni formulazione sistematica che si ponga come verità extrastorica, come un universale astratto fuori del tempo e dello spazio.
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Croce Saggio
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