Poiché «pare», per uno strano capovolgimento delle prospettive, che le scienze naturali diano la capacità di prevedere l'evoluzione dei processi naturali, la metodologia storica è stata concepita «scientifica» solo se e in quanto abilita astrattamente a «prevedere» l'avvenire della società. Quindi la ricerca delle cause essenziali, anzi della «causa prima», della «causa delle cause». Ma le «Tesi su Feuerbach» avevano già criticato anticipatamente questa concezione semplicistica. In realtà si può prevedere «scientificamente» solo la lotta, ma non i momenti concreti di essa, che non possono non essere risultati di forze contrastanti in continuo movimento, non riducibili mai a quantità fisse, perché in esse la quantità diventa continuamente qualità. Realmente si «prevede» nella misura in cui si opera, in cui si applica uno sforzo volontario e quindi si contribuisce concretamente a creare il risultato «preveduto». La previsione si rivela quindi non come un atto scientifico di conoscenza, ma come l'espressione astratta dello sforzo che si fa, il modo pratico di creare una volontà collettiva.
E come potrebbe la previsione essere un atto di conoscenza? Si conosce ciò che è stato o è, non ciò che sarà, che è un «non esistente» e quindi inconoscibile per definizione. Il prevedere è quindi solo un atto pratico che non può, in quanto non sia una futilità o un perditempo, avere altra spiegazione che quella su esposta. È necessario impostare esattamente il problema della prevedibilità degli accadimenti storici per essere in grado di criticare esaurientemente la concezione del causalismo meccanico, per svuotarla di ogni prestigio scientifico e ridurla a puro mito che fu forse utile nel passato, in un periodo arretrato di sviluppo di certi gruppi sociali subalterni (vedere una nota precedente).
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Feuerbach
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