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      (Ognuno di questi punti può essere sviluppato, con le opportune esemplificazioni).
      Un appunto che può farsi a molti riferimenti polemici del Saggio è il misconoscimento sistematico della possibilità di errore da parte dei singoli autori citati, per cui si attribuiscono a un gruppo sociale, di cui gli scienziati sarebbero sempre i rappresentanti, le opinioni piú disparate e le volontà piú contraddittorie. Questo appunto è legato a un criterio metodico piú generale e cioè: non è molto «scientifico» o piú semplicemente «molto serio» scegliere gli avversari tra i piú stupidi e mediocri o ancora, scegliere tra le opinioni dei propri avversari le meno essenziali e le piú occasionali e presumere di aver «distrutto» «tutto» l'avversario perché si è distrutta una sua opinione secondaria e incidentale o di aver distrutto un'ideologia o una dottrina perché si è dimostrata l'insufficienza teorica dei suoi campioni di terzo o quarto ordine. Ancora «occorre essere giusti cogli avversari», nel senso che bisogna sforzarsi di comprendere ciò che essi realmente hanno voluto dire e non fermarsi maliziosamente ai significati superficiali e immediati delle loro espressioni. Ciò si dica, se il fine propostosi è di elevare il tono e il livello intellettuale dei propri seguaci e non quello immediato di fare il deserto intorno a sé, con ogni mezzo e maniera. Occorre porsi da questo punto di vista: che il proprio seguace debba discutere e sostenere il proprio punto di vista in discussione con avversari capaci e intelligenti e non solo con persone rozze e impreparate che si convincono «autoritativamente» o per via «emozionale». La possibilità dell'errore deve essere affermata e giustificata, senza con ciò venir meno alla propria concezione, perché ciò che importa non è già l'opinione di Tizio, Caio o Sempronio, ma quell'insieme di opinioni che sono diventate collettive, un elemento e una forza sociale; queste occorre confutare nei loro esponenti teorici piú rappresentativi e degni anzi di rispetto per altezza di pensiero e anche per «disinteresse» immediato e non già pensando di aver con ciò «distrutto» l'elemento e la forza sociale corrispondente (che sarebbe puro razionalismo illuministico), ma solo di aver contribuito: 1) a mantenere nella propria parte e rafforzare lo spirito di distinzione e di scissione; 2) a creare il terreno perché la propria parte assorba e vivifichi una propria dottrina originale, corrispondente alle proprie condizioni di vita.


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Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce
di Antonio Gramsci
pagine 451

   





Saggio Tizio Caio Sempronio