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      Il problema invece è questo, mi pare: come si può spiegare che una tale concezione, che non è certo una futilità, anche per un filosofo della praxis, oggi, esposta al pubblico, possa solo provocare il riso e lo sberleffo? Mi pare il caso piú tipico della distanza che si è venuta formando tra scienza e vita, tra certi gruppi di intellettuali, che pure sono alla direzione «centrale» dell'alta coltura e le grandi masse popolari: e come il linguaggio della filosofia sia diventato un gergo che ottiene lo stesso effetto di quello di Arlecchino. Ma se il «senso comune» si esilara, il filosofo della praxis dovrebbe lo stesso cercare una spiegazione e del reale significato che la concezione ha, e del perché essa sia nata e si sia diffusa tra gli intellettuali, e anche del perché essa faccia ridere il senso comune. È certo che la concezione soggettivistica è propria della filosofia moderna nella sua forma piú compiuta e avanzata, se da essa e come superamento di essa è nato il materialismo storico, che nella teoria delle superstrutture pone in linguaggio realistico e storicistico ciò che la filosofia tradizionale esprimeva in forma speculativa. La dimostrazione di questo assunto, che qui è appena accennato, avrebbe la piú grande portata culturale, perché metterebbe fine a una serie di discussioni futili quanto oziose e permetterebbe uno sviluppo organico della filosofia della praxis, fino a farla diventare l'esponente egemonico dell'alta cultura. Fa anzi meraviglia che il nesso tra l'affermazione idealistica che la realtà del mondo è una creazione delle spirito umano e l'affermazione della storicità e caducità di tutte le ideologie da parte della filosofia della praxis, perché le ideologie sono espressioni della struttura e si modificano col modificarsi di essa, non sia stato mai affermato e svolto convenientemente.


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Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce
di Antonio Gramsci
pagine 451

   





Arlecchino