Che questo poi avvenga di fatto è quistione di «politica» immediata, perché nella storia reale il processo dialettico si sminuzza in momenti parziali innumerevoli; l'errore è di elevare a momento metodico ciò che è pura immediatezza, elevando appunto l'ideologia a filosofia (sarebbe come se si ritenesse elemento «matematico» ciò che risulta da questo apologo: si domanda a un bambino: - tu hai una mela, ne dai la metà a tuo fratello; quanta mela mangerai tu? - Il bambino risponde: - una mela. - Ma come; non hai dato mezza mela a tuo fratello? - Ma io non gliela ho data, ecc. Nel sistema logico si introduce l'elemento passionale immediato e poi si pretende che rimanga valido il valore strumentale del sistema). Che un tal modo di concepire la dialettica fosse errato e «politicamente» pericoloso, si accorsero gli stessi moderati hegeliani del Risorgimento come lo Spaventa: basta ricordare le sue osservazioni su quelli che vorrebbero, con la scusa che il momento dell'autorità è imprescindibile e necessario, conservare l'uomo sempre in «culla» e in schiavitú. Ma non potevano reagire oltre certi limiti, oltre i limiti del loro gruppo sociale che si trattava «concretamente» di far uscire di «culla»: la composizione fu trovata nella concezione «rivoluzione-restaurazione» ossia in un conservatorismo riformistico temperato. Si può osservare che un tal modo di concepire la dialettica è proprio degli intellettuali, i quali concepiscono se stessi come gli arbitri e i mediatori delle lotte politiche reali, quelli che impersonano la «catarsi» dal momento economico al momento etico-politico, cioè la sintesi del processo dialettico stesso, sintesi che essi «manipolano» speculativamente nel loro cervello dosandone gli elementi «arbitrariamente» (cioè passionalmente). Questa posizione giustifica il loro non «impegnarsi» interamente nell'atto storico reale ed è indubbiamente comoda: è la posizione di Erasmo nei confronti della Riforma.
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