95 sgg.).
È da vedere se, a suo modo, lo storicismo crociano non sia una forma, abilmente mascherata, di storia a disegno, come tutte le concezioni liberali riformistiche. Se si può affermare, genericamente, che la sintesi conserva ciò che è vitale ancora della tesi, superata dall'antitesi, non si può affermare, senza arbitrio, ciò che sarà conservato, ciò che a priori si ritiene vitale, senza cadere nell'ideologismo, senza cadere nella concezione di una storia a disegno. Che cosa il Croce ritiene che della tesi sia da conservare, perché vitale? Non essendo che raramente un politico pratico, il Croce si guarda bene da ogni enumerazione di istituti pratici e di concezioni programmatiche, da affermare «intangibili», ma tuttavia essi possono essere dedotti dall'insieme della sua opera. Ma se anche ciò non fosse fattibile, rimarrebbe sempre l'affermazione che è «vitale» e intangibile la forma liberale dello Stato, la forma cioè che garantisce a ogni forza politica di muoversi e di lottare liberamente. Ma come può confondersi questo fatto empirico col concetto di libertà, cioè di storia? Come domandare che le forze in lotta «moderino» la lotta entro certi limiti (i limiti della conservazione dello Stato liberale) senza cadere in arbitrio e nel disegno preconcetto? Nella lotta «i colpi non si danno a patti» e ogni antitesi deve necessariamente porsi come radicale antagonista della tesi, fino a proporsi di distruggerla completamente e completamente sostituirla. Concepire lo svolgimento storico come un gioco sportivo col suo arbitro e le sue norme prestabilite da rispettare lealmente, è una forma di storia a disegno, in cui l'ideologia non si fonda sul «contenuto» politico ma sulla forma e sul metodo della lotta.
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