È da notare quanto fosse cauto e prudente il Croce nei primi saggi raccolti in MSEM e quante riserve avanzasse nell'enunziare le sue critiche e le sue interpretazioni (sarà interessante registrare queste riserve cautelose) e come invece diverso sia il suo metodo in questi recenti scritti, che d'altronde, se colpissero nel segno, dimostrerebbero come egli abbia perduto il suo tempo nel primo periodo e sia stato di straordinaria semplicità e superficialità. Solo che allora il Croce tentava almeno di giustificare logicamente le sue caute affermazioni mentre oggi è diventato perentorio e non crede necessaria nessuna giustificazione. Si potrebbe trovare l'origine pratica del suo attuale errore ricordando il fatto che prima del '900 egli si riteneva onorato di passare anche politicamente per un seguace della filosofia della praxis, poiché allora la situazione storica faceva di questo movimento un alleato del liberalismo, mentre oggi le cose sono molto cambiate e certi scherzetti sarebbero pericolosi.
È da ricordare il giudizio del Croce su Giovanni Botero nel volume Storia dell'età barocca in Italia. Il Croce riconosce che i moralisti del '600, per quanto piccoli di statura al paragone del Machiavelli «rappresentavano, nella filosofia politica, uno stadio ulteriore e superiore». Questo giudizio è da avvicinarsi a quello del Sorel sul Clemenceau che non riusciva a vedere, anche «attraverso» una letteratura mediocre, le esigenze che tale letteratura rappresentava e che esse non erano mediocri.
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