Onde nel materialismo del secolo decimottavo essi scorgevano la vita francese di allora, volta tutta all'immediato presente, al comodo e all'utile; nello Hegel, lo Stato prussiano; nel Feuerbach, gli ideali della vita moderna, ai quali la società germanica non si era ancora innalzata; nello Stirner, l'anima dei merciai; nello Schopenhauer, quella dei piccoli borghesi; e via discorrendo». Ma non era ciò appunto uno «storicizzare» le rispettive filosofie, un ricercare il nesso storico tra i filosofi e la realtà storica da cui erano stati mossi? Si potrà dire e si dice infatti: ma la «filosofia» non è invece proprio ciò che «residua» dopo questa analisi per la quale si identifica ciò che è «sociale» nell'opera del filosofo? Intanto occorre porre questa rivendicazione e giustificarla mentalmente. Dopo aver distinto ciò che è sociale o «storico» in una determinata filosofia, ciò che corrisponde a una esigenza della vita pratica, a una esigenza che non sia arbitraria e cervellotica (e certo non è sempre facile una tale identificazione, specialmente se tentata immediatamente, senza cioè una sufficiente prospettiva) sarà da valutare questo «residuo», che poi non sarà cosí grande come apparirebbe a prima vista, se il problema fosse posto partendo dal pregiudizio crociano che esso sia una futilità o uno scandalo. Che una esigenza storica sia concepita da un filosofo «individuo» in modo individuale e personale e che la particolare personalità del filosofo incida profondamente sulla concreta forma espressiva della sua filosofia, è evidente senz'altro.
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