Lo stesso Croce (nel volume Etica e politica) accenna a queste diverse fasi, una di violenza, di miseria, di lotta accanita, di cui non si può fare storia etico-politica (nel suo senso ristretto) e una di espansione culturale che sarebbe la «vera» storia. Nei suoi due recenti libri: Storia d'Italia e Storia d'Europa sono precisamente omessi i momenti della forza, della lotta, della miseria e la storia comincia in una dopo il 1870 e nell'altra dal 1815. Secondo questi criteri schematici si può dire che lo stesso Croce riconosce implicitamente la priorità del fatto economico, cioè della struttura come punto di riferimento e di impulso dialettico per le superstrutture, ossia i «momenti distinti dello spirito». Il punto della filosofia crociana su cui occorre insistere pare appunto debba essere la cosí detta dialettica dei distinti. C'è una esigenza reale nel distinguere gli opposti dai distinti, ma c'è anche una contraddizione in termini, perché dialettica si ha solo degli opposti. Vedere le obbiezioni non verbalistiche presentate dai gentiliani a questa teoria crociana e risalire allo Hegel? È da vedere se il movimento da Hegel a Croce-Gentile non sia stato un passo indietro, una riforma «reazionaria». Non hanno essi reso piú astratto Hegel? Non ne hanno tagliato via la parte piú realistica, piú storicistica? e non è invece proprio di questa parte che solo la filosofia della praxis, in certi limiti, è una riforma e un superamento? E non è stato proprio l'insieme della filosofia della praxis a far deviare in questo senso il Croce e il Gentile, sebbene essi di questa filosofia si siano serviti per dottrine particolari?
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