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      Che il Croce non sia uscito da queste contraddizioni e che in parte ne abbia coscienza, si capisce dal suo atteggiamento verso i «partiti politici» quale appare dal capitolo «Il partito come giudizio e come pregiudizio» del volume Cultura e vita morale e da ciò che dei partiti si dice negli Elementi di politica, quest'ultimo ancor piú significativo. Il Croce riduce l'atto politico all'attività dei singoli «capipartito» che per soddisfare la loro passione si costruiscono, nei partiti, gli strumenti adatti al trionfo (sicché la medicina delle passioni basterebbe propinarla a pochi individui). Ma anche ciò spiega nulla. Si tratta di questo: i partiti sono sempre esistiti, permanentemente, anche se con altre forme ed altri nomi, ed una passione permanente è un controsenso (solo per metafora si parla di pazzi ragionanti ecc.), ed ancor di piú è sempre esistita una organizzazione permanentemente militare, la quale educa a compiere a sangue freddo, senza passione l'atto pratico piú estremo, l'uccisione di altri uomini che non sono singolarmente odiati dai singoli ecc. D'altronde l'esercito è l'attore politico per eccellenza anche in tempo di pace: come mettere d'accordo la passione con la permanenza, con l'ordine e la disciplina sistematica ecc.? La volontà politica deve avere qualche altra molla oltre la passione, una molla di carattere anch'essa permanente, ordinata, disciplinata ecc. Non è detto che la lotta politica, come la lotta militare, si risolvano sempre sanguinosamente, con sacrifizi personali che giungono fino al sacrifizio supremo della vita.


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Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce
di Antonio Gramsci
pagine 451

   





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