Ma in realtà questa corrente è «italiana» solo perché la «cultura» per molti secoli è stata la sola manifestazione «nazionale» italiana. Si tratta di una illusione verbale. Dove era la base di questa cultura italiana? Essa non era in Italia: questa cultura «italiana» è la continuazione del cosmopolitismo medioevale legato alla tradizione dell'Impero e alla Chiesa, concepiti universali con sede «geografica» in Italia. Gli intellettuali italiani erano funzionalmente una concentrazione culturale cosmopolita, essi accoglievano ed elaboravano teoricamente i riflessi della piú soda e autoctona vita del mondo non italiano. Anche nel Machiavelli si vede questa funzione, sebbene il Machiavelli cerchi di volgerla a fini nazionali (senza fortuna e senza seguito apprezzabile): il Principe infatti è una elaborazione degli avvenimenti spagnoli, francesi, inglesi nel travaglio dell'unificazione nazionale, che in Italia non ha forze sufficienti e neppure interessa molto. Poiché i rappresentanti della corrente tradizionale realmente vogliono applicare all'Italia schemi intellettuali e razionali, elaborati sí in Italia, ma su esperienze anacronistiche, e non sui bisogni immediati nazionali, essi sono i giacobini nel senso deteriore.
La quistione è complessa, irta di contraddizioni e perciò deve essere approfondita. In ogni modo, gli intellettuali meridionali nel Risorgimento appaiono con chiarezza essere questi studiosi del «puro» Stato, dello Stato in sé. E ogni volta che gli intellettuali dirigono la vita politica, alla concezione dello Stato in sé segue tutto il corteo reazionario che ne è la compagnia d'obbligo.
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