Può far capire che se si vuol far quattrini è necessario trovare qualcosa di nuovo, che i soliti impresari non possono offrire; che il mezzo piú adatto non è quello di fare degli spettacoli di beneficenza una superfetazione dei soliti spettacoli quotidiani, perché altrimenti gli industriali del divertimento, vedendosi fare la concorrenza, e in modo, per di piú, idiota, protestano e borbottano. Come è successo l'altro giorno a Torino. Il 3 doveva tenersi al Salone Ghersi una delle solite fiere, con esposizione dei versi di Arturo Foà, di signorine che avrebbero prestato gentilmente la loro opera, di film deamicisiane, e con la partecipazione di Dina Galli e di Amerigo Guasti. Si capisce che era su questi due ultimi che si contava per l'incasso. Ma all'ultimo momento patatrac: la società Suvini Zerboni pone il suo veto, e proibisce «in modo assoluto agli attori ed alle attrici di recitare fuori dei teatri». Ed è naturale ed industrialmente logico. Come era naturale e logico che a Milano, invece, gli attori e le attrici abbiano potuto dare la loro opera per una serata di beneficenza del genere, ma non della specie. Perché a Milano i giornalisti avevano organizzato uno spettacolo che nessun impresario avrebbe potuto dare, e che fruttò 13000 lire. A Torino si voleva semplicemente sfruttare il nome e la popolarità di due impiegati della ditta, e questa infine non ha accettato; e per incassare 13000 lire chissà quanti Fradeletto e quanti Doria dovranno ancora imbonire il pubblico.
Sicché... i denari rimangono pochi.
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