Lasciando la via tumultuosa di traffico e vedendomi passare d'innanzi figurine pallide sagomate dai loro costumi un po' goffi, ma non privi di un certo fascino e stimolatori di non ridicibili curiosità cerebrali, mi sento soddisfatto di essere riuscito a vincere le prime riluttanze.
Incomincia la conversazione, fredda, stereotipata, mentre in un angolo sto seduto, rassegnato, sentendomi invadere da una specie di letargo, di ottusità dei sensi. La guerra, la pace, la preghiera, iddio padre nostro, soliti luoghi comuni che solo un cervello fossilizzato nella cella può ripetere e ripetere senza stancarsi e senza stuccarsi. Ma non manca un qualche spunto psicologico di qualche interesse: «Anche noi — dice la monachella — che pure viviamo fuori dai rumori mondani, abbiamo avute delle delusioni... Certe cose non possono non ricordarsi; anche l'on. Bevione... come è caduto al pari degli altri! E pensare che abbiamo dovuto pregare tre giorni e tre notti perché egli riuscisse nelle elezioni. Cosí avevano voluto la madre superiora e il vescovo, che ora sono tanto pentiti... Anch'egli è diventato una colonna del paganesimo (sic), una forza di certa stampa massonica che ci deride e vorrebbe privarci del nostro diritto di preghiera».
O povera figliuola! Tre giorni e tre notti di veglia angosciosa e di sacrificio! Vedendola cosí afflitta e cosí compunta non posso trattenere un certo brivido misto di riso indistinto e di simpatia pietosa. Via, è un po' troppo prendere sul serio la propria missione fino ad obbligare delle povere innocenti a sacrificarsi tanto per l'elezione di un uomo.
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