(29 gennaio 1916).
«L'ERBÔ D'LA LIBERTÀ»
Grande avvenimento cittadino l'altra sera al Rossini. C'erano il sindaco e l'ingegnere Sincero, l'antipapa, gli assessori, i consiglieri comunali piú intellettuali, da Fino a Grassi, ed il vecchio teatro accoglieva tutti con la tranquilla bonomia di un vecchio, del quale il ritorno per una volta dei bei giorni passati non turba lo scetticismo sereno, frutto di tante alterne vicende di gloria e di decadenza. Serata familiare anche! Ché Torino è in fondo ancora una grande città di provincia, dove tutti ci si conosce, e dove si accorre a sentire ed applaudire l'opera del collega o del conoscente per dovere d'amicizia, ben disposti ad essergli grati di una serata trascorsa cosí senza grande divertimento e senza molta noia, lasciando riposare cervello e nervi. All'amico molti applausi e quattro chiamate concesse la platea del Rossini. E non vorremo noi contrastare. Che anche per la critica occorre il punto d'appoggio. Ma l'Erbô d'la libertà non è né bello né brutto: è nel pensiero di un dolce accomodantismo. C'è tutto o niente: l'azione se non fosse posta nel 1798 avrebbe potuto svolgersi nel 1848, a Torino od a Milano od a Berlino: c'è la spia alemanna e c'è il patriotta che crede e sacrifica per gli ideali rivoluzionari; c'è la fucilazione del mitissimo ed ingenuo agitatore Tenivelli, ma c'è la caricatura leggera delle nuove idee e dei nuovi costumi; c'è il cittadino calzolaio Barberis che è vestito di rosso e cambia nome alla moglie ed al figlio e sacrifica ai piedi dell'albero un pacco di biglietti del vecchio governo.
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