L'integrale fusione tra il privato cittadino cattolico e l'artista deve essere affermata anche per il cattolico e l'avvocato, se no dove va a finire l'autenticità?
(7 febbraio 1916).
LA PATRIA AL MAFFEI
Domenica al Maffei. Gli altri ritrovi in questo giorno sacro al riposo e al divertimento sono stipati di pubblico, e non è davvero piacevole rischiare le costole e tuffarsi in una atmosfera discretamente satura di indefinibili odori umani per annoiarsi a una produzione seria, o quasi. Al Maffei si respira e si sentono delle porcheriole che ormai non fanno arrossire neppure le educande, e una musichetta che concilia le riflessioni piú rosee sulla vita degli uomini. Le donnine sul palcoscenico sono piú o meno piacenti e solleticanti, lo spirito è piú o meno di buona lega, ma di domenica ci si può accontentare anche di questo poco pur di cacciare la malinconia della festa che serve solo a far mettere in mostra tutte le piccole vanità della mediocrità cittadina.
Piú malinconica di noi pare sia la divetta che è stata salutata dalla scrosciante salve di fischi che le bocche proletarie hanno fatto gioiosamente risuonare. Camicetta rossa, fascia bianca, sottanina verde e... gambette rosa. Italia da oleografia, truccatura di patriottismo che in questi tempi difficili può anche riuscire a far dimenticare la voce sgangherata e le forme ormai stanche nella violenta luce della ribalta. E i fischi sono proletari, ma non perciò meno patriottici; eppure alcuni protestano contro la protesta. Questi alcuni che consentono al tricolore di coprire il contrabbando di una qualsiasi sgualdrinella, sono magari gli stessi che dicono di voler salvare la bandiera dal letamaio metaforico degli antimilitaristi ex polledri, sorrisi sarcastici della vita quotidiana.
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Maffei Maffei
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