Il tricolore, simbolo della Patria che domanda per il Moloch belligero il sacrificio della vita ai cittadini, è difeso da quegli stessi proletari che tutti accusano di antipatriottismo e di «ben vengano i tedeschi». Ma non fa meraviglia. Solo chi è abituato a prendere sul serio certi simboli e certe affermazioni, possiede la sensibilità necessaria quando ad essi si fa vituperio e oltraggio. Chi vede nella politica e nella storia solo la fiera, la coreografia, il corteo rutilante di colori e di decorazioni e rimbombante di discorsi che puzzano di lucerna accademica, come può sentire tutto il grottesco di questi appaiamenti: Maffei e Patria, tricolore e gambette rosee della divetta che stona l'ultima sciocchezzuola birichina dei boulevards? Non abbiamo assistito tempo fa ad un tentativo di applauso alla Marsigliese cantata in una delle pochade dove piú viene diffamata la Francia nel suo esercito, nelle sue donne, nei suoi costumi, che non sono né migliori né peggiori di quelli di tutto il resto del mondo? Ebbene noi, se qualcuna di queste bestioline del piacere gorgheggiasse un nostro inno per strapparci il soldino e l'applauso, e la borghesia protestasse, saremmo d'accordo e ci uniremmo nella salve dei fischi con tutta la forza dei nostri polmoni.
(9 febbraio 1916).
DA GIOVANNINO
Sono capitato in buon punto. Vedo a Porta Nuova «aria ai monti», in automobile, diretto alla stazione centrale. Indubbiamente c'è un arrivo importante. Da cronista zelante mi precipito alla stazione. Arriva Giolitti da Cavour.
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