Sono le 19. Ecco lí «aria ai monti» che scende dall'automobile. Quanti dolci pensieri, quanto desio in quei brevi minuti di attesa! Proprio sette giorni prima, in questa stessa ora di blandizie crepuscolari, «aria ai monti» accompagnava alla partenza l'altro grande ospite. Ora il desio volge altrove. «Aria ai monti» anche stasera è dantesco. Mi faccio dappresso. O sogno o «aria ai monti» mormora veramente non so che cosa. Forse si prepara mentalmente alle espressioni di saluto. Ed ecco il treno. Giolitti scende, alto, gagliardo, franco. Non invecchia costui. «Aria ai monti» gli va incontro; ecco la mano tesa e i piccoli occhi di ramarro infregolito lucidi e ridenti...
— Sai? Ho qui fuori l'automobile...
— Ma come! Come se tu non sapessi che sono solito scendere al Boulogne a due passi dalla stazione. C'è già Guercio che mi attende.
— Già! Ma cosa vuoi... Voglio proprio che si sappia che dopo tutto, sono ancora quegli di prima. La tua amicizia soprattutto... Hai letto il mio discorso?
Giolitti sorride, allunga il passo svelto e forte. Li seguo. Vi garantisco che devono prendermi per un poliziotto.
Giolitti continua a sorridere e dice, questa volta in purissimo dialetto piemontese che io non so trascrivere: — Ho letto, ho letto. Bene! Bene! Hai citato ancora Dante...
«Aria ai monti» dà una strizzatina di occhi come per dire: — Eh! al postutto, Dante è il vicino mio grande
— Già Dante. Ma quel verso tornava tanto a proposito per Salandra!
Si tratta dello stesso verso che «aria ai monti» incluse in due precedenti discorsi rispettivamente in morte di Graf e di Renier.
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