In tutto ciò esiste un'assurdità che dovrebbe saltare agli occhi di chiunque. Poiché diritto e procedura dovrebbe essere la cosa piú concreta e piú palpabile di questo mondo. Tanto concreta e palpabile che ricordo non aver offeso il mio senso comune, sebbene mi abbia fatto ridere, il caso di quel vecchietto che denunciò un giovanotto per offesa al suo pudore, e riuscí a farlo condannare perché pare che, buontempone, cogliesse proprio il momento di essere visto dal querelante per abbandonarsi ad esposizioni di cattivo gusto (il caso, se bene ricordo, fu proprio riportato umoristicamente nell'«Avanti!» dall'allora compagno Silvano Fasulo). Ma il Chiavassa di chi aveva offeso il pudore? Forse della sua amante? O questa non aveva fatto viceversa? E allora non sarebbe ora che certe cose fossero contemplate nel codice senza tanti pregiudizi e con un senso piú vivo della realtà? Nel Medioevo si imbastivano processi anche contro gli animali che avevano in qualche modo offeso l'Iddio dei cristiani. Tanto era vivo il senso dell'esistenza fuori della coscienza umana della divinità che anche gli esseri irragionevoli erano tenuti responsabili del sacrilegio. Ci pare che per il pudore si sia ancora nel Medioevo. Non si ammette che esso esista fuori della coscienza umana e dei singoli individui a tal punto che si ritiene colpevole e meritevole di una sanzione punitiva anche colui che nello stesso istante è ritenuto irresponsabile di un delitto commesso a danno della carne e delle ossa di una donna che vive, mangia, beve e veste panni?
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