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      Ricordo che appunto un settimanale liberale di Milano fu di quelli che ammonirono che erano necessari provvedimenti, e consigliava di far rientrare i questurini nel ruolo di rivendicatori dei crimini comuni, e di tenerli lontani dalla politica. Ma il «Corriere della Sera» insorge fieramente, dicendo che le cose erano sempre andate nel migliore dei modi, e che dovevano essere i socialisti i primi a cambiare, a bonificarsi, ad essere meno maleducati, ecc. ecc.
      Non ragiona piú cosí il «Corriere» dell'altro giorno. Leggiamo parole come queste: «Dove si possono meglio fondare i sospetti di attività criminosa ivi la polizia dovrebbe, piú energica, piú assidua e soprattutto piú in tempo, svolgere la sua opera di pubblica sicurezza. Perché se la pubblica sicurezza significasse soltanto garanzia di veder ammanettare i malfattori quando i malfattori si degnano di offrire i polsi, la sicurezza pubblica sarebbe la piú trascurabile delle utopie...» Detto molto bene, ma ci pare che la polizia non abbia poi tutti i torti. Chi ha insegnato ai questurini essere piú pericolosi per la pubblica sicurezza? I ladri, i falsificatori, o i sovversivi? Rimangono forse a poltrire in panciolle questi strumenti della giustizia? O non li vediamo assidui, volta a volta mogi e tracotanti, passeggiare intorno ai nostri ritrovi, al nostro bel palazzo di corso Siccardi, accoccolarsi per delle ore per ascoltare i discorsi, dando di sé spettacolo non certo edificante ed educativo? O come volete che questi disgraziati, mentre devono sorvegliare i socialisti, possano anche sorvegliare chi falsifica le cartelle del prestito o le case malfamate, dove è possibile a dei malviventi radunarsi per mesi e per anni, complottandovi furti innumerevoli, raccogliendovi la refurtiva di quintali e quintali di carbone senza che nessuno se ne accorga e provveda?


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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