Ma ce n'è rimasto in fondo all'animo una specie di nausea e di disgusto. Perché abbiamo trovato che questa guerra ha dato modo alla democrazia facilona e chiacchierona di rimettere in circolazione e di attossicare gli spiriti con tutti quei luoghi comuni che tanta fatica avevano durato i socialisti per cacciar via e sradicare. Per molte di queste ragioni la democrazia è la nostra peggiore nemica, è quella con la quale dobbiamo sempre essere pronti a fare a pugni, perché intorbida il limpido distacco delle classi, e vorrebbe quasi diventare le molle della carrozza che servono a far pesar meno sulle ruote il carico dei passeggeri e ad evitare gli scossoni che possono far ribaltare. Non che le conquiste democratiche non siano desiderabili, ma devono esserlo solo come mezzo e possibilità di piú rapido sviluppo, e non già come fine ultimo della storia. Devono insomma diventare strumenti della lotta di classe e non motivi per sdilinquimenti ed abbracciamenti generali. Bisogna constatare che la propedeutica della guerra è fatta su motivi e su chiave democratica, e che la democrazia abusa un po' troppo di questa sua posizione per lanciare nell'arringo uomini che meglio starebbero nell'ombra, perché nulla essendo nessuna parola nuova possono dire, nessuna volontà fattrice di storia possono creare. A Torino c'è stato un vero diluvio di personalità e di personcine democratiche. Tutte le sciocchezze hanno detto, tutti i luoghi comuni. E ben farebbero i proletari a frequentare di piú i ritrovi per conferenze.
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Torino
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