Il nomignolo ci piace e lo facciamo nostro senz'altro. Crediamo che anche i cani rabbiosi abbiano nella vita sociale una loro funzione, e importantissima, e noi come per il passato continueremo a svolgerla del nostro meglio.
A Torino, per riconoscimento universale, la vita pubblica si svolge nel piú arcaico e buffo dei modi. Ogni scazzonte vi può passare per gran uomo, ogni bulicare di letamaio diventa fatto politico di prim'ordine. Il controllo, la critica non esiste. Esiste il soffietto, l'adulazione piú piatta e disgustosa. Non per nulla Torino è specialmente illustre per i suoi confettieri: tutto vi è inzuccherato, all'acqua di rose. Capitiamo noi in mezzo a questo pollaio di tacchini tronfi e pettoruti, e siccome abbiamo pochi rispetti umani e non ci lasciamo abbagliare dal luccichio delle penne, facciamo strillare parecchia gente e ci tiriamo addosso un sacco di improperi e di maledizioni. Ohibò! quanto schiamazzo per della gente della quale non ci si cura e che si rivolge solo ai proletari. Evidentemente si sente che i nostri morsi non sono dati a caso, e che la nostra rabbia ha uno scopo ben determinato.
Com'era bella la vita d'Arcadia della Torino d'altri tempi! Teofilo Rossi attendeva con modestia e disinteresse a fare raccolta di decorazioni, a strapazzare Dante nei suoi discorsi e ad educare i suoi rampolli froebelianamente, abituandoli a seguire le orme paterne con l'ornare i loro alberi di Natale di dischetti metallici riproducenti il collare dell'Annunziata o l'ordine dell'Aquila nera.
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