Ma questo è un merito nazionale, e vi ha già pensato il re con la contea e il laticlavio. I meriti di dantista? Veramente ricordiamo che il povero prof. Renier, non sospettando che la stessa sciagura sarebbe toccata anche a Lui, ebbe ad esclamare: «Che asino!», quando «aria ai monti», orazionando Arturo Graf, tirò fuori l'ormai famigerato verso dantesco: «Sillogizzò invidiosi veri!». I meriti patriottici? O non era neutralista e giolittiano per la pelle il conte vinattiere fino alla vigilia della venuta di Salandra? I meriti di guerriero? La divisa da capitano degli alpini non crediamo abbia nessuna macchia di sangue, e le trincee espugnate si riducono a quella dell'Hôtel Boulogne e a quella che gli prepara il cuoco per ogni modesto desinare. I meriti amministrativi? Basta sfogliare la collezione della «Stampa» per convincersi quanto essi siano sempre stati grandi; l'ingegnere Sincero potrebbe essere ultimamente interrogato in proposito (ricordiamo gente non sospetta di sovversivismo e trascuriamo i conti dell'Esposizione, intorno ai quali i torresi non devono essere ancora informati). I meriti?...
Ma noi siamo matti e ingenui. Occorrono forse dei meriti per essere nominati cittadini onorari di una qualsiasi città o borgata o casale? La cittadinanza onoraria è quella tal forma di commedia ironicamente convenzionale, per essere protagonisti della quale basta aver mandato una cassetta di buone bottiglie al sindaco o al segretario comunale o al farmacista del paese onorario.
Si dice che sette città si contendessero l'onore di aver dato i natali a Omero.
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