È una fiaba il dividendo. La società dà solo l'interesse fisso di dieci lire stabilito dal suo statuto sessanta anni fa. Ora si capisce che un'abitudine che dura da sessanta anni non può essere smessa cosí da un momento all'altro. Imponete ad un vecchio di settantacinque anni che ha incominciato a fumare a quindici, che smetta perché in famiglia c'è chi non può soffrire il puzzo del tabacco; si scioglierà in lacrime, si immalinconirà, e la sua fine non tarderà a venire. Da sessanta anni capite, un interesse del 10 per cento (non dividendo, per carità, perché il decreto luogotenenziale vuole che sia solo dell'8!) Come si fa a rinunciarvi?
E non hanno torto questi buoni azionisti!
È inutile ricordar loro che lo stato di guerra ha fatto smettere a tutti molte buone abitudini; che ha domandato a milioni di soldati di prepararsi persino a smettere la buona abitudine di vivere! Non è col sentimento che si ammollisce il cuore di un azionista indurito nel vizio. L'intervistato del «Momento» ha detto che finora solo sette o otto consumatori si sono rifiutati di pagare, e che hanno pagato anche i consiglieri socialisti! Non ci scoraggiamo perciò!
Se i consumatori vogliono che la buona abitudine del 10 per cento continui per gli azionisti, perseverino anche loro nella non meno buona abitudine di lasciar fare e lasciar passare. Ma se vogliono che il comune si muova, facciano ciò che abbiamo consigliato: non paghino!
Contro la impassibilità di chi si infischia del malessere generale, solo la violenza vale qualche cosa.
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