(27 febbraio 1916).
SIC VOS NON VOBIS
Cosí voi, non per voi, o repubblicani, preparate i nuovi destini d'Italia. Ve lo inibisce il nazionalismo locale, che si meraviglia dell'acquiescenza governativa che ha permesso il congresso dei berretti frigi e non si è valso dei pieni poteri per rinsaldare la sacra unione minacciata da Robespierre. E non ha torto Tupin nonché Girola, o la sua caramella, come piace meglio, che ha una sensibilità cosí delicata in politica interna ed estera (anche in questo numero del suo giornale pubblica che «il mondo è nostro», cosa che fa sempre piacere a sapersi), a impensierirsi dell'attività repubblicana.
Era stato scritto infatti che «un solo partito, e quello per avventura piú onesto e piú schietto, il repubblicano, avrebbe ammainato le vele delle proprie pregiudiziali e si sarebbe posto a dar remi in riga con le forze piú o meno vive, ma sempre attive, della Nazione». Invece, anche questo partito, onesto e schietto, pensa all'avvenire, si preoccupa del futuro, sul quale tanti hanno posto ipoteca, e minaccia «audacie» e «iniziative vivaci».
Vorremmo solo fare un'osservazione. È stata rimproverata ai tedeschi la mancanza del senso di reciprocità, del senso dell'altro (che esiste accanto al nostro io), al quale avrebbero dovuto riconoscere diritti, libertà, ecc. ecc. Repubblicani, nazionalisti, radicali, ecc. ecc. si sono stretti in coorte per cooperare a far nascere nelle zucche teutoniche questo senso del quale madre natura avara li aveva orbati.
Ma, cementato il blocco, sono incominciati i dissapori.
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