Un giorno, quando il grande inneggiatore del superuomo che doveva determinare la diffusa psicopatia del superpopolo, quindi la superstizione della guerra, era in cura a Basilea per pazzia inoltrata, passeggiando per le contrade della cosí detta regina del Reno, s'imbatté in una bimba che trotterellava sorridendo; l'avvicinò e accarezzandole la testina d'oro all'assistente che lo accompagnava, con un sorriso negli occhi stanchi e folli, il creatore di Zaratustra ebbe a dire:
— Non è forse l'immagine dell'innocenza?...
Perché sono l'immagine dell'innocenza i nostri bimbi devono ballare e dare trilli, e sollazzarsi anche in tempo di tragedia [due righe censurate].
Buon divertimento, piccini!
(5 marzo 1916).
RIDICOLO E COMICO
Il teatro dialettale è stato in Italia un gran maestro di sincerità. Il morto di ieri, Benini, ce lo ricorda. Le piccole cose su cui erano costruite le pièces del suo repertorio in cui la letizia o la tristezza non avevano bisogno per prorompere né di situazioni sansoniche né di sedie estatiche o di letti che giocano a nascondino, mostravano a chi aveva occhi per vedere, che il teatro può trovare sempre nell'inesausta fonte della vita regionale nutrimento leonino e anche sorgente di guadagno non disprezzabile.
A Torino il dialetto, come si è imbastardito nelle bocche dei parlanti per un urbanesimo caotico, cosí si è imbastardito sulla scena per un cattivo gusto da rigattiere del ghetto. Non parliamo di Mario Leoni. A lui il trionfo riportato nei giornali non toglie di essere un arido e scioccherello imbastitore di drammi, per il quale unica punizione possibile sarebbe il fargli attraversare la città a cavalcioni di un asinello, con le membra impeciate e rivestite di sgargianti penne di gallina, come nel Medioevo si faceva per le femmine adultere.
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